Dante e la matematica

Il 2021 è stato lanno di Dante, in quanto si commemoravano i settecento anni dalla sua morte: le iniziative dantesche proseguiranno anche in seguito ogni 25 marzo con il Dantedì, data scelta in quanto è stata ipotizzata come il giorno di inizio del viaggio simbolico di Dante nella Divina Commedia.

È innegabile che Dante abbia lasciato un’enorme eredità nella nostra cultura, ad esempio nei modi di dire che tuttora usiamo.

Ciò che non tutti sanno è che Dante, pur essendo un letterato, era un uomo che possedeva una vasta cultura generale e conosceva molto bene la scienza in genere e anche la matematica, almeno rispetto alla maggior parte degli uomini del suo tempo… e anche del nostro forse!

D'Amore Bruno – RSDDM
Bruno d’Amore – La matematica nell’opera di Dante Alighieri

Facciamo dunque un viaggio attraverso le sue opere alla scoperta degli aspetti matematici che vi si trovano.

Nel seguente video, registrato in occasione di un evento organizzato dalla pagina Facebook del Planetario di Ravenna (che ringrazio, perché proprio grazie a questa iniziativa ho cominciato a essere incuriosita riguardo al rapporto tra Dante e la matematica), la Professoressa Elena Tenze espone in modo chiaro e accurato i riferimenti matematici contenuti nella Divina Commedia, in particolare nel Paradiso, e anche nel Convivio.

LA MATEMATICA NEL CONVIVIO

Cominciamo dunque il nostro viaggio dal Convivio, in cui troviamo questo passo:

La Geometria si muove intra due repugnanti a essa, sì come ‘l punto e lo cerchio – e dico ‘cerchio’ largamente ogni ritondo, o corpo o superficie -; chè, sì come dice Euclide, lo punto è principio di quella, e, secondo che dice, lo cerchio è perfettissima figura in quella, che conviene però avere ragione di fine. Sì che tra ‘l punto e lo cerchio sì come tra principio e fine si muove la Geometria, e questi due a la sua certezza repugnano; che lo punto per la sua indivisibilità è immensurabile, e lo cerchio per lo suo arco è impossibile a quadrare perfettamente, e però è impossibile a misurare a punto. E ancora la Geometria è bianchissima, in quanto è sanza macula d’errore e certissima per sè e per la sua ancella, che si chiama Perspettiva.

La Geometria viene definita bianchissima, sanza macula d’errore e certissima, grazie alla certezza e indubitabilità dei postulati e del metodo induttivo che Dante aveva appreso da Euclide.

Inoltre Dante precisa che essa si muove intra due repugnanti, il punto e il cerchio, che ne respingono la certezza, perché, per quanto le leggi di Euclide e di Pitagora possano essere rigorose e precise, la geometria è costretta a muoversi tra i misteri e i paradossi che caratterizzano la natura di queste due entità.

Lo punto è principio: negli elementi di Euclide al punto è riservata la prima delle definizioni del primo libro, in cui si indica che il punto è quell’ente fondamentale della geometria che non ha parti.

Lo punto per la sua indivisibilità è immensurabile: sia la definizione di Euclide del punto che quella che ne dà Pitagora (punto come oggetto indivisibile di misura minima che occupa uno spazio) si scontrano inesorabilmente con dei paradossi: la defizione di Euclide ad esempio con il paradosso di Zenone (segmento infinitamente divisibile, pur essendo finito) e quella di Pitagora con l’incommensurabilità del rapporto tra due numeri interi, ad esempio proprio quelli trattati dal suo teorema, la diagonale e il lato di un quadrato.

Lo cerchio è perfettissima figura: Dante associa il cerchio a immagini divine, come esemplificato dai seguenti passi, tratti dal Paradiso:

Lo cerchio per lo suo arco è impossibile a quadrare perfettamente: quadrare una figura piana per i greci consisteva nel costruire un quadrato che avesse la stessa area della figura utilizzando solo il compasso e la riga non graduata e come sappiamo è impossibile farlo per il cerchio senza essere costretti ad approssimare (cliccare qui per approfondire).

Ad ogni modo, sia il punto che il cerchio sono entità ineffabili per l’uomo, che rappresentano i due estremi inconcepibili di una geometria che per il resto appare limpida e pienamente comprensibile.

LA MATEMATICA NELLA DIVINA COMMEDIA

Nella Divina Commedia molti sono gli spunti di collegamento con la matematica, sia direttamente proposti da Dante, sia indirettamente rintracciabili tra i suoi passi.

Il Paradiso è la cantica più ricca in assoluto di riferimenti matematici.

Da rimarcare sono i significati dei numeri presenti nella struttura della Divina Commedia, divisa in 3 cantiche, ognuna divisa in 33 canti (il 3 è il numero più legato alla spiritualità, rappresentando la Trinità), per un totale di 33×3=99 canti, a cui va aggiunto il primo canto generale dell’introduzione che si trova nell’Inferno.

I cerchi dell’Inferno e i cieli del Paradiso sono 9 (il 9, essendo quadrato di 3, rappresenta la perfezione massima), le cornici del Purgatorio 7 (essendo il 3 il numero divino e 4 il numero legato al mondo materiale – infatti ad esempio 4 sono le stagioni, i punti cardinali, gli elementi naturali, 7 è il numero che rappresenta l’unione tra la spiritualità e il mondo fisico).

LA MATEMATICA NELL’INFERNO

In questo video il Professor Guido Trombetti espone in modo molto affascinante il rapporto tra le opere di Dante e la matematica, mettendole in collegamento con il pensiero scientifico dell’epoca e carpendo anche un aspetto di logica in alcuni versi dell’Inferno riguardo ai peccatori volontari.

Il Professor Trombetti spiega nel suo video la struttura dell’universo come tre sfera (a quattro dimensioni) e offre uno spunto interessante su come calcolare l’altezza di Lucifero, che si trova all’estremità del cono rovesciato che è la forma dell’Inferno e che è stata calcolata, seguendo i riferimenti di Dante, anche da Galileo Galilei.

Il calcolo dell’altezza di Lucifero è approfondito bene dal punto di vista matematico in questo video, realizzato in modo accurato e interessante da un Professore di matematica e una Professoressa di lettere per riassumere il percorso interdisciplinare seguito con i propri studenti del Liceo delle Scienze Umane Fabrizio De Andrè.

LA MATEMATICA NEL PURGATORIO

Nel Canto VI del Purgatorio, nel punto in cui si trovano le anime dei negligenti, ossia coloro che nel corso della loro vita terrena hanno omesso di adempiere ai loro doveri spirituali e aspettano il momento dell’espiazione e nei seguenti versetti (Purg. IV, 1-3) si cita un gioco d’azzardo diffuso nel Medioevo: il gioco della zara.

Quando si parte il gioco de la zara,
colui che perde si riman dolente,
repetendo le volte, e tristo impara

La parola zara deriva dall’arabo zahr, che significa dado, e dalla stessa parola deriva l’espressione “gioco d’azzardo”. I giocatori dovevano lanciare a turno tre dadi a sei facce e, prima che i dadi rivelassero ciascuno un numero, dovevano pronunciare a voce alta il numero che secondo loro sarebbe risultato come somma dei tre numeri rivelati dai dadi. Di seguito si trova una piccola trattazione statistica sul funzionamento di questo gioco, fatta anche utilizzando Excel, da cui possiamo capire che ci sono dei concetti dietro che i perdenti dovevano mestamente cercare di imparare, a forza di ripetere le loro giocate, in modo da capire quali somme hanno ricorrenza più alta (non avendo Excel e non essendo ancora stata teorizzato il calcolo della probabilità).

Ecco il funzionamento statistico del gioco della Zara: la somma non potrà essere minore di tre né maggiore di diciotto, inoltre queste ultime due somme sono quelle che hanno meno probabilità di uscire, perché combinazioni dei valori risultanti 1+1+1 e 6+6+6.

L’unica combinazione possibile che possa dare 3 è 1+1+1, e siccome ciascuno di questi tre numeri ha probabilità 1/6 di uscire, secondo la regola della probabilità che si verifichino contemporaneamente 2 o più eventi tra loro indipendenti, che prevede di moltiplicare le singole probabilità tra loro, si avrà 1/6 * 1/6 * 1/6 = 1/216, pari a circa lo 0,46%, una percentuale molto bassa!

Analogo discorso si può fare per il 18. A causa della probabilità così bassa di ottenere queste due somme, il 3 e il 18 erano considerati valori nulli e venivano chiamati azari. Erano considerati azari anche il 4 e il 17, per i quali la probabilità di uscita non è sempre di 1/216, bensì tripla, ossia 3/216, poiché è maggiore la quantità di combinazioni possibili che forniscono tali numeri.

Nelle tabelle riportate di seguito (presenti nel file Excel che potete scaricare di seguito) sono riportate tutte le combinazioni possibili nel gioco della Zara e sono poi evidenziate le probabilità di ottenere ciascuna somma, con distribuzione approssimabile alla curva Gaussiana: si vede chiaramente come il 10 e l’11 siano i valori su cui è consigliabile giocare, dato che esistono ben 27 possibili combinazioni che possono far uscire queste somme; per gli altri le probabilità di uscita sono inferiori.

Agli uomini del tempo, non avendo Excel, non rimaneva che “repetere le volte” fino a capire quali erano i valori con una maggiore probabilità di uscire. 

Le precedenti immagini riguardanti il gioco della Zara sono tratte da questo file Excel, liberamente scaricabile:

LA MATEMATICA NEL PARADISO

Cominciamo a trattare la matematica nel Paradiso dal canto finale, dove viene ripresa l’impossibilità della quadratura del cerchio già affrontata nel Convivio (Par. XXXIII, 133-138).

Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige 
per misurar lo cerchio, e non ritrova, 
pensando, quel principio ond’elli indige,
                

tal era io a quella vista nova: 
veder voleva come si convenne 
l’imago al cerchio e come vi s’indova;

Qui Dante mette in relazione il mistero della Trinità con un altro mistero impossibile da risolvere che ha afflitto i matematici dall’alba dei tempi: la quadratura del cerchio, per cui sarebbe necessario conoscere l’entità precisa del numero π, che è numero irrazionale e trascendente (per dettagli sul π vedere qui)

Il problema della quadratura del cerchio viene utilizzato da Dante anche per “sbeffeggiare” Brisso, che pensò (sbagliando) di aver risolto il problema della quadratura del cerchio:

Vie più che indarno da riva si parte,
Perché non torna tal qual ei si muove,
Chi pesca per lo vero, e non ha l’arte:
E di ciò sono al mondo aperte prove
Parmenide, Melisso e Brisso e molti,
I quali andavan, nè sapevan dove.

Nel paradiso ci sono molti altri riferimento alla geometria, descritti molto bene dalla Professoressa Tenze nel video sopra citato. Li elencherò di seguito:

IMPOSSIBILITÀ DI AVERE DUE ANGOLI OTTUSI IN UN TRIANGOLO (Par XVIII, 13-18)

Dante si rivolge a Cacciaguida così

“… O cara piota mia che sì t’insusi,
che, come veggion le terrene menti
non capere in trïangol due ottusi,
così vedi le cose contingenti
anzi che sieno in sé, mirando il punto
a cui tutti li tempi son presenti …”

Con queste parole Dante intende dire: “O cara radice della mia famiglia, che così in alto t’innalzi al punto tale che, come la mente dei mortali vede che due angoli ottusi non possono essere contenuti in un triangolo, con la stessa chiarezza discerni le cose che possono accadere o meno prima che si realizzino, contemplando la divina essenza, il punto in cui tutti i tempi sono presenti”.

Dante si serve di un esempio geometrico e cita indirettamente le proposizioni degli Elementi di Euclide 17 (In ogni triangolo la somma di due angoli, comunque presi, è minore di due retti) e 32 (in ogni triangolo, se si prolunga uno dei lati, l’angolo esterno è uguale alla somma dei due angoli interni ed opposti, e la somma dei tre angoli interni del triangolo è uguale a due retti) per sostenere che per Cacciaguida prevedere il futuro è semplice come per un essere umano comprendere che in un triangolo non può esserci più di un angolo ottuso.

TUTTI I TRIANGOLI ISCRITTI IN UNA CIRCONFERENZA SONO RETTANGOLI (Par VIII, 95-102)

Discutendo della sapienza di Salomone San Tommaso riferisce che

ei fu re, che chiese senno
acciò che re sufficiente fosse;
non per sapere il numero in che enno
li motor di qua su, o se necesse
con contingente mai necesse fenno;
non, si est dare primum motum esse,
o se del mezzo cerchio far si pote
trïangol sì ch’ un retto non avesse

Qui Dante fa due affermazioni, una che riguarda la fisica e l’altra la geometria: è impossibile che vi sia un moto primo, cioè a sua volta non causato da un altro moto ed è impossibile che esista un triangolo inscritto in una semicirconferenza ma non rettangolo Così Dante cita la proposizione 31 degli elementi di Euclide (ogni triangolo iscritto in una semicirconferenza è un triangolo rettangolo).

La professoressa Tenze menziona i seguenti due libri per approfondire il legame tra la matematica e le opere di Dante:

Bruno d’Amore – La matematica nell’opera di Dante Alighieri

Beniamino Andriani – Aspetti della scienza in Dante

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Il Professor Trombetti si sofferma in modo mirabile sull’accenno di definizione di numeri naturali che avviene nel Paradiso (Par. XV, 55-57):

Tu credi che a me tuo pensier mei 
da quel ch’è primo, così come raia 
da l’un, se si conosce, il cinque e ‘l sei;  

Cacciaguida si rivolge qui a Dante affermando “Tu credi che il tuo pensiero venga a me da quello divino, così come dall’uno, se lo si conosce, derivano il cinque e il sei”. Questo concetto esprime in modo embrionale l’idea su cui si fonda la definizione dell’insieme dei numeri naturali (che verrà ufficializzata molti secoli più tardi da Peano), secondo la quale ogni numero differisce dal successivo e dal precedente di un’unità: Dante usa qui il 5 e il 6 come esempi di numeri naturali consecutivi (n e n+1), avvicinandosi così anche al principio di induzione matematica.

Il professor Trombetti evidenzia anche che se Dante nelle sue opere non fa espliciti richiami alla numerazione di origine indiana/araba che usiamo tuttora e alla cui importazione nel mondo occidentale il suo contemporaneo Fibonacci diede una spinta decisiva, dai seguenti versi (XXVIII, 91-93) è facile capire che Dante venne a contatto con il Liber Abaci di Fibonacci e con la leggenda di Sissa Nassir sulla crescita esponenziale delle serie geometriche. (Per dettagli sulla leggenda della scacchiera e sulla crescita esponenziale cliccare qui)

L’incendio suo seguiva ogne scintilla;
ed eran tante, che ‘l numero loro
più che ‘l doppiar de li scacchi s’inmilla

Qui Dante ci indica che il numero degli angeli può essere calcolato con lo stesso procedimento con cui si possono calcolare i chicchi di riso sulla scacchiera come indicato da Sissa Nassir (chicchi di riso che diventano così tanti che tutta la superficie della terra non può bastare a produrli!), ma assume una quantità anche più impressionante, arrivando a essere pari a 10 elevato alla 192!

Infatti si tratta sempre di una serie geometrica, con crescita esponenziale, che ha ragione 1000 invece di 2.

A questo proposito anche i seguenti versetti (Par. XXIX, 133-135) ci illuminano sull’utilizzo che faceva Dante della quantità “mille”, che veniva utilizzata per indicare un numero estremamente grande e che serve al sommo poeta per coniare il verbo “immillarsi”, con il significato di crescere in modo impressionante e indefinito:

e se tu guardi quel che si revela 
per Daniel, vedrai che ‘n sue migliaia 
determinato numero si cela

Dante afferma qui che il numero degli angeli è talmente elevato che l’intelletto umano non è neppure in grado di concepirlo, e se Dante pensa alle parole di Daniele sull’argomento capirà che esse non indicavano l’esatto numero degli angeli visti, ma una quantità indeterminata. 

Dante utilizza dunque il numero mille per indicare una quantità grande e lo stratagemma della scacchiera per lasciarci intendere che il numero degli angeli è grande in modo umanamente inconcepibile e farlo senza utilizzare il concetto di infinito, che è destinato solo a Dio.

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