Mentre al giorno d’oggi dobbiamo quasi tutti scegliere se avere una formazione umanistica o scientifico-tecnica, l’uomo colto del Medioevo non concepiva il sapere a “compartimenti stagni” come noi: così con Dante, l’uomo del Medioevo per eccellenza, la descrizione dei fenomeni naturali in chiave estetica non prescinde dai principi fisici che li governano.
Dante infatti, che nel Convivio si offre di distribuire pane e vivande (scienza e poesia) ai suoi commensali, tocca nelle sue opere davvero innumerevoli aspetti del sapere umano (“canoscenza” umana, per dirla con le sue parole), spaziando in molti campi: non solo la filosofia, la teologia, l’etica, la politica, le lettere e le arti in generale, ma anche la medicina, le scienze naturali, la geografia, la fisica e l’astronomia.
Di seguito sono riportati solo alcuni dei numerosissimi richiami alla scienza presenti negli scritti del sommo poeta.
Dante e la geologia
Come Dante comincia il suo viaggio dall’Inferno, cosi noi cominciamo il nostro excursus dalle viscere della terra.
Proprio nell’Inferno dantesco si trovano riferimenti a terremoti, idrogeologia, depositi di travertino, struttura delle montagne, modellamento del paesaggio, per poi arrivare, nel viaggio verso il Paradiso, alla struttura del pianeta Terra e dell’intero cosmo.
Molte delle teorie abbracciate da Dante riguardo alle scienze della Terra potrebbero farci sorridere, alla luce di ciò di cui siamo consapevoli ora, ma bisogna tener conto dello stadio totalmente nebuloso in cui versavano le conoscenze del tempo al riguardo; basti pensare che lo stesso termine “geologia” non era ancora stato coniato.
Nella visione dantesca, che come vedremo successivamente concepisce la forma della Terra non piatta, ma sferica, solo l’emisfero settentrionale risultava occupato da terre emerse e abitato (non vi era logicamente ancora conoscenza di America, Australia e Africa centro-meridionale), con Europa, Asia e Africa che costituivano la gran secca, di profilo semicircolare.
Si immaginava invece che l’emisfero meridionale fosse occupato dalle acque del grande oceano, probabilmente eredità diretta di Aristotele che considerava l’emisfero nord come sede della generatio e corruptio, mentre l’emisfero sud, dove Dante posiziona la montagna del Purgatorio, era considerata il mondo sanza gente.
Dante riesce a comunicare tutto questo con la bellezza dei suoi versi, quando nel Canto XXVI descrive il folle volo di Ulisse, che lancia i suoi compagni e la sua conoscenza oltre il limite invalicabile delle Colonne d’Ercole:
“O frati”, dissi “che per cento milia
perigli siete giunti all’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
de’ nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Diversi e numerosi sono i riferimenti geomorfologici presenti nell’Inferno, in cui Dante riesce a usare sapientemente vere e proprie metafore geomorfologiche, come nella famosa contrapposizione tra valle (sede della selva oscura), che rappresenta l’aberrazione e il peccato, e il colle (chiamato anche dilettuoso monte), che rappresenta l’armonia e la virtù, presente nel primo Canto dell’Inferno:
Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto

Nel Canto IX dell’Inferno Dante descrive invece in modo quasi scientifico il fenomeno di un uragano estivo, usando l’espressione impetuoso per li avversi ardori riferendosi alla forza del vento attratto in zone di aria calda e rarefatta:
E già venía su per le torbide onde
un fracasso d’un suon, pien di spavento,
per che tremavano amendue le sponde,
non altrimenti fatto che d’un vento
impetuoso per li avversi ardori,
che fier la selva e senz’alcun rattento
li rami schianta, abbatte e porta fori;
dinanzi polveroso va superbo,
e fa fuggir le fiere e li pastori.
Tra i riferimenti più strettamente geologici, i più numerosi sono quelli riferiti a terremoti e fenomeni sismici in generale. Ne troviamo traccia nel III Canto dell’Inferno, quando Dante descrive mirabilmente lo spavento dovuto a un forte terremoto:
Finito questo, la buia campagna
tremò sí forte, che dello spavento
la mente di sudore ancor mi bagna.
La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento;
e caddi come l’uom che ’l sonno piglia
Uno dei riferimenti più famosi è trovato tuttavia nel Canto XII dell’Inferno, dove il Poeta parla dei Lavini di Marco, un gruppo di frane oloceniche tra Rovereto e Serravalle, famose per aver portato alla luce impronte di dinosauro del Giurassico Inferiore.
I due viaggiatori degli inferi stanno scendendo lungo un sentiero impervio e irregolare, quando Dante invoca l’immagine familiare della valle dell’Adige:
Era lo loco ov’ a scender la riva
venimmo, alpestro e, per quel che v’er’ anco,
tal, ch’ogne vista ne sarebbe schiva.
Qual è quella ruina che nel fianco
di qua da Trento l’Adice percosse,
o per tremoto o per sostegno manco,
che da cima del monte, onde si mosse,
al piano è sì la roccia discoscesa,
ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse:
cotal di quel burrato era la scesa;
Il termine alpestro in Dante indica ‘montagna’ in senso generale, senza riferirsi necessariamente al sistema alpino.
Nell’interpretazione della gigantesca frana, Dante cita due possibili spiegazioni scientifiche, un fenomeno sismico (per tremoto) o una erosione a opera delle acque che, scalzando alla base il pendio, ne ha causato il crollo (per sostegno manco).
Nel canto XIV dell’Inferno Dante e Virgilio passano attraverso un deserto sabbioso (rena arida e spessa) camminando lungo gli argini di un fiume ribollente che si diparte dal Flegetonte:
Tacendo divenimmo là ‘ve spiccia
fuor de la selva un picciol fiumicello,
lo cui rossore ancor mi raccapriccia.
Quale del Bulicame esce ruscello
che parton poi tra lor le peccatrici,
tal per la rena giù sen giva quello.
Lo fondo suo e ambo le pendici
fatt’era ‘n pietra, e ‘ margini da lato;
per ch’io m’accorsi che ‘l passo era lici.
Anche in questo caso il poeta descrive dettagliatamente la geologia del luogo attraversato per spiegare le caratteristiche del ruscello che scorre nell’Inferno, menzionando al riguardo le sorgenti di acqua solfurea situate vicino a Viterbo e conosciute con il nome di Bullicame.
Oltre al ribollire classico della acque, tipico di contesti solfurei, il poeta puntualizza che, come per il Bullicame, il fondo e i margini erano costituiti in pietra (Fatt’era ’n pietra, e’ margini da lato), quindi cementati e duri se comparati ai sedimenti sabbiosi sciolti appena attraversati da Dante e Virgilio: i margini litificati del Bullicame sono formati esattamente dalle incrostazioni di travertino idrotermale, con deposizione di carbonato catalizzato dall’azione di attività microbiale, tesi ritenuta non corretta dall’esegeta di Dante Sapegno, ma invece sorprendentemente valida.
Il riferimento di Dante alla formazione del travertino è stato così antico e importante da ricevere il plauso persino da uno dei padri della geologia dei carbonati, Robert L. Folk, che, riferendosi al passo dell’Inferno, lo definisce come “sicuramente uno dei primi esempi descritti di diagenesi dei carbonati”.
Le formazioni geologiche vengono citate in causa anche nell’invettiva del Canto XV contro Firenze, da cui il poeta è stato esiliato:
Ma quello ingrato popolo maligno
che discese di Fiesole ab antico,
e tiene ancor del monte e del macigno
Il Sommo Poeta menziona qui il termine macigno per denotare un elemento caratteristico del paesaggio dove vivono gli “ingrati” fiorentini, riferendosi molto probabilmente al litotipo affiorante estesamente nel territorio Toscano (ma anche in Liguria, Emilia Romagna, Umbria e Lazio): “Macigno” è infatti un classico e antico termine litostratigrafico italiano.
Nell’ultimo canto dell’interno è descritta la “natural burella”, una galleria sotterranea, che Dante e Virgilio, dopo essersi staccati dai peli di Lucifero, percorrono per giungere all’uscita dell’Inferno e accedere al Purgatorio.
Non era camminata di palagio
là ’v’eravam, ma natural burella
ch’avea mal suolo e di lume disagio.
L’origine di questo traforo, come ci riferisce lo stesso Dante, deriva dall’erosione delle rocce, fenomeno provocato dal fiume Lete (o Leté), dove si lavano le anime purganti dal ricordo delle loro colpe, in modo tale da poter finalmente accedere al Paradiso: l’acqua “infetta” precipita nel Cocito, dove viene congelata dal battito d’ali di Lucifero, per trasferire all’Inferno il peccato a cui è stato dato il pieno oblio.
d’un ruscelletto che quivi discende
per la buca d’un sasso, ch’elli ha roso,
col corso ch’elli avvolge, e poco pende.
In questo articolo, da cui ho attinto molte informazioni, e in questo studio si trovano maggiori dettagli sulla presenza di riferimenti alla geologia nell’opera di Dante.
Dante e la matematica
I riferimenti matematici nelle opere di Dante sono molti e significativi: ho scritto un intero articolo al riguardo e inoltre molti spunti si trovano in questo libro di Bruno d’Amore:

Dante e l’astronomia
L’astronomia è per Dante la scienza più nobile, paragonata a Saturno, il pianeta più lontano dalla terra, quindi più alto e più difficilmente raggiungibile.
La Divina Commedia è infatti ricchissima di riferimenti astronomici.
Nell’incipit dell’Inferno, sembra quasi che Dante si riferisca ai buchi neri, regioni dello spazio-tempo costituiti da stelle infinitamente dense che collassano su se stesse e in cui c’è un orizzonte degli eventi che è un punto di non ritorno (anche se Dante in realtà è riuscito a uscire dall’Inferno):
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate
Nel I Canto del Paradiso Dante descrive l’ordine dell’Universo:
Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
che l’universo a Dio fa simigliante
Qui veggion l’alte creature l’orma
de l’etterno valore, il qual è fine
al quale è fatta la toccata norma.
Nell’ordine ch’io dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti,
più al principio loro ve men vicine.
Il sistema a cui si riferisce Dante è geocentrico, ma la Terra di Dante è una sfera, a dispetto del pensiero comune che vuole l’uomo medievale “terrapiattista”.
D’altronde anche gli antichi greci avevano intuito che la Terra fosse di forma sferica e nel III secolo a.C. Eratostene di Cirene (città che si trova nell’odierna Libia) misurò addirittura il raggio della Terra ottenendo una misura che differisce solo del 5% dal valore attualmente conosciuto.
Nel canto di Ulisse Dante ci fa intendere di avere molto chiara la conformazione sferica della terra, in quanto condanna Ulisse all’Inferno per via del suo “folle volo” verso l’emisfero australe (l’altro polo), oltrepassando il limite consentito agli uomini dalla volontà divina, le Colonne d’Ercole, e riuscendo a scorgere la cima del monte del Purgatorio.
Ulisse si era rivolto ai compagni, esortandoli a pensare alla loro origine, essendo stati creati “per seguire virtù e conoscenza e non per vivere come bestie” e convincendoli a proseguire verso ovest, passando le colonne d’Ercole e fino a quando la notte mostrava ormai le costellazioni del polo meridionale, mentre quello settentrionale era tanto basso che non sorgeva più al di sopra dell’orizzonte, come descritto in questi versi del Canto XXVI dell’Inferno.
…e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte e ‘l nostro tanto basso,
che non surgea fuor del marin suolo.
Anche nel primo Canto del Purgatorio Dante ci parla dell’emisfero australe, da dove non è più visibile la stella polare (il Carro), ma sono invece visibili le stelle della Croce del Sud (le quattro stelle):
…I’ mi volsi a man destra, e puosi mente
a l’altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch’a la prima gente…
…Com’io da loro sguardo fui partito,
un poco me volgendo a l ‘altro polo,
là onde ‘l Carro già era sparito…
Che la forma della terra fosse chiaramente sferica per Dante e che avesse capito molto bene come funzionasse anche l’attrazione gravitazionale si capisce anche nella descrizione del passaggio dall’Inferno al Purgatorio: Dante scende nel cono con cornici degradanti fino a trovarsi al cospetto di Lucifero, che si trova al centro della Terra, con la vita immersa nel ghiaccio.
A questo punto Dante pensa di non poter andare oltre, ma Virgilio salta sul corpo di Lucifero e aiuta Dante a calarsi lateralmente lungo gli interstizi che ci sono tra il suo corpo e il ghiaccio. Poi a Dante sembra che Virgilio si capovolga e ha l’impressione di star tornando verso l’inferno:
Quando noi fummo là dove la coscia
si volge, a punto in sul grosso de l’anche,
lo duca, con fatica e con angoscia,
volse la testa ov’elli avea le zanche,
e aggrappossi al pel com’om che sale,
sì che ’n inferno i’ credea tornar anche.
Invece stanno andando verso l’emisfero boreale, agli antipodi di Gerusalemme, e Dante infatti non ha affatto l’impressione di stare viaggiando a testa in giù (come è giusto che sia in accordo a come funziona l’attrazione gravitazionale) nello spostarsi fino a raggiungere il polo opposto, in cui riesce a vedere di nuovo le stelle:
E quindi uscimmo a riveder le stelle.

Non solo Dante intuì la sfericità della Terra, ma lo spazio di Dante è molto più complesso di quanto si possa immaginare: nel Canto XXVII del Paradiso Dante presenta l’Empireo come un cerchio di luce e amore che circonda il Primo Mobile, proprio così come quest’ultimo, a sua volta, circonda e avvolge gli altri cieli sottostanti:
Luce e amor d’un cerchio lui comprende,
sì come questo li altri; e quel precinto
Colui che ‘l cinge solamente intende

Quando nel XXVIII Canto del Paradiso Dante e Beatrice si affacciano sul Primo Mobile, Dante afferma di trovarsi davanti un altro universo, che corrisponde al cerchio che più ama e che più sape.
L’universo di Dante ha la Terra al centro, con i gironi infernali al suo interno e circondata dai pianeti, dal cielo e delle stelle fisse, poi dal Primo Mobile e infine dall’Empireo, sede esclusiva del divino, ma presenta anche una struttura aggiuntiva, che si trova separata, al di fuori del Primo Mobile, composta dai nove cerchi angelici, e la candida rosa, che appare normalmente in una zona intermedia dello schema dantesco.
In questa visione il punto che rappresenta Dio risulta essere il centro dell’universo, e al tempo stesso lo circonda in ogni direzione, come Dante esplicitamente afferma nel XXX Canto del Paradiso: parendo inchiuso da quel ch’elli ‘nchiude.
Quindi, anche se a un occhio superficiale l’universo di Dante sembra geocentrico, il punto dal quale ha avuto origine l’universo (da quel punto depende il cielo e tutta la natura) è proprio il centro di tutto e la sede dell’amore che move il sole e l’altre stelle e non sembra proprio appartenere alla Terra.
Secondo il matematico tedesco Andreas Speiser l’universo di Dante in realtà è concepito non come uno schema dei cerchi concentrici su un foglio piano, ma come sfere concentriche immerse in uno spazio che non è tridimensionale, bensì presenta una quarta coordinata (ottenendo una 3-sfera o ipersfera): concetto già difficile da capire per noi, nonostante ora siano stati scoperti gli strumenti matematici per descrivere questi tipi di geometrie non euclidee, ma che risulta davvero sorprendente se pensiamo che sia stato un uomo del Medioevo a concepirlo!
Scendiamo ora nel dettaglio nella spiegazione della forma dell’universo come concepita da Dante e scopriremo come sia possibile che ciò che include possa essere a sua volta incluso e come le intuizioni di Dante anticiparono addirittura quelle di Einstein.
La forma dell’universo per Dante
La concezione della forma dell’Universo come descritta da Dante è, secondo l’interpretazione di molti autorevoli studiosi (si prendano ad esempio gli scritti del matematico e filosofo russo Florenskij e del matematico statunitense Peterson), la stessa a cui è arrivato Einstein: in un periodo storico profondamente diverso e nella stesura di un’opera poetica, Dante è riuscito quindi a concepire un’intuizione che per i suoi tempi appare davvero sbalorditiva e che poi troverà conferma negli studi scientifici dello scienziato più famoso del ‘900.
Per capire il senso dell’intuizione di Dante possiamo riferirci a quanto succede su Flatlandia: racconto fantastico a più dimensioni (Flatland: A Romance of Many Dimensions), un romanzo fantastico-fantascientifico del 1884 scritto da Edwin Abbott Abbott, che narra la vita di un abitante di un ipotetico universo bidimensionale, il quale entra in contatto con l’abitante di un universo tridimensionale. Questo romanzo è molto famoso tra gli studenti di facoltà scientifiche, in quanto affronta da un punto di vista molto originale il concetto di un mondo a più dimensioni.
Gli abitandi di Flatlandia sono delle figure geometriche piane che si muovono su un piano che per loro è l’universo: tra di loro c’è il narratore, un quadrato che farà un incontro con una sfera proveniente da Spacelandia (il mondo a tre dimensioni), il quale lo illumina sulla presenza della terza dimensione nel solo modo che le è possibile, cioè attraversando il piano e mostrando la sua sezione che in questo modo varia.

Dante, come il quadrato di Flatlandia, intuì la presenza di una quarta dimensione e anche l’unico modo, complesso, di rappresentarla con gli strumenti a nostra disposizione.
Approfondiamo ora le similitudini con la teoria di Einstein.
Einstein elaborò dapprima la teoria della relatività ristretta, nella quale lo spazio e il tempo sono considerati un’unica entità a quattro dimensioni (tre spaziali e una temporale), che prende il nome di spaziotempo e che non contempla la gravità.
Nell’opera “Die Grundlagen der allgemeinen Relativitätstheorie” Einstein espose poi la teoria della relatività generale, in cui gli oggetti cadono e i pianeti orbitano attorno al sole a causa dell’incurvatura dello spaziotempo dovuta alla presenza delle masse.
Per millenni gli uomini si sono chiesti se l’Universo fosse infinito oppure avesse un bordo. Ammettendo che esso sia infinito, con una infinità di stelle, il cielo notturno dovrebbe essere luminoso come durante il giorno. Ammettendo invece che abbia un bordo, invece, rimane la questione di cosa possa esserci oltre al bordo.
La soluzione di Einstein è che l’Universo possa essere curvo, finito ma senza bordo. Un po’ come la superficie della Terra che, essendo curva, è finita ma non ha un bordo e potremmo camminarvi sopra all’infinito.
La forma dell’Universo è quindi, secondo questa teoria, quella di una tre-sfera, ovvero una sfera in uno spazio quadridimensionale.
Una sfera ordinaria (o due-sfera), per semplicità scelta con centro nell’origine, può essere definita come l’insieme di tutti i punti P(x, y, z) dello spazio tridimensionale, che soddisfano l’equazione:
x² + y² + z² = R
Allo stesso modo, per la tre-sfera , sempre con centro nell’origine, basta aggiungere una coordinata, definendola come l’insieme di tutti i punti dello spazio quadridimensionale P(x, y, z, t) che soddisfano l’equazione:
x² + y² + z² + t² = R
Per capire la rappresentazione della una tre-sfera, il che non risulta affatto agevole, suggerisco di seguire i passaggi esplicitati in questo video.
L’Universo viene rappresentato da Dante proprio con due sfere, cercando di conciliare la cosmologia di Aristotele, con la Terra sferica al centro dell’universo visibile, e la visione cristiana che pone Dio al centro della sfera costituita dall’Empireo: le due sfere condividono la stessa superficie, ovvero il nono cielo o “primum mobile”. Satana si trova al centro della sfera della terra, circondato dai nove gironi e Dio, in modo simmetrico, al centro della sfera del cielo, circondato dai nove cerchi angelici, proprio al polo opposto della tre-sfera. L’Universo vive in costante tensione tra questi due poli!
Ognuna delle sfere è circondata dall’altra e allo stesso tempo circonda l’altra, come descritto nel XXX Canto del Paradiso:
Non altrimenti il trïunfo che lude
sempre dintorno al punto che mi vinse,
parendo inchiuso da quel ch’elli ‘nchiude
Nel Canto XXVII del Paradiso Dante ci dice che la luce e l’amore dell’Empireo circondano il nono cielo come in un cerchio, così come questo racchiude gli altri:
La natura del mondo, che quïeta
il mezzo e tutto l’altro intorno move,
quinci comincia come da sua meta
e soltanto Dio (“colui che ’l cinge”) riesce a concepire come tutto questo possa succedere:
Luce e amor d’un cerchio lui comprende,
sì come questo li altri; e quel precinto
colui che ’l cinge solamente intende.
Per altri dettagli riguardo all’universo di Dante rimando a questo video della Professoressa Elena Tenze:
e il seguente libro:
Dante e la fisica
Dante descrive la luce in molte delle sue molteplici manifestazioni:
La luce, per il suo valore simbolico e al tempo stesso per la varietà e la bellezza delle sue manifestazioni fisiche, gioca un ruolo centrale nella scenografia della Commedia. Così, ad esempio, uno dei fenomeni più spettacolari che ha per protagonista la luce, l’arcobaleno, viene descritto nel canto XVV del Purgatorio:
E come l’aere, quand’è ben pïorno,
per l’altrui raggio che ‘n sé si reflette,
di diversi color diventa addorno.
Nel XII canto del Paradiso, Dante descrive i cerchi concentrici formati dagli spiriti sapienti, tra cui San Tommaso e San Bonaventura, ricorrendo al paragone con i “due archi paralleli e concolori” dell’arcobaleno:
Come si volgon per tenera nube
due archi paralleli e concolori,
quando Iunone a sua ancella iube,
nascendo di quel d’entro quel di fori,
a guisa del parlar di quella vaga
ch’amor consunse come sol vapori

Gli arcobaleni secondari sono provocati da una doppia riflessione della luce solare dentro le gocce di pioggia, con il risultato che i colori dell’arcobaleno secondario sono invertiti in confronto a quelli del primario, con il blu all’esterno e il rosso all’interno.

Dante abbozza anche una spiegazione del meccanismo fisico che causa l’arcobaleno, che appare quando la luce del sole (l’altrui raggio) si riflette nell’aria (in sé si riflette) quando è densa di umidità (ben pïorno).
Sempre nel XV canto del Purgatorio Dante spiega il fenomeno della riflessione, consistente nella deviazione rispetto alla verticale (indicata come il cader della pietra) di un angolo di valore pari a quello dell’angolo di incidenza (tanto si diparte).
Come quando da l’acqua o da lo specchio
salta lo raggio a l’opposita parte,
salendo su per lo modo parecchio
a quel che scende, e tanto si diparte
dal cader de la pietra in igual tratta,
sì come mostra esperïenza e arte;

Proprio con un’immagine di luce (la mia mente fu percossa da un fulgore) Dante sceglie di concludere la Divina Commedia, e concludo io così la mia analisi, sottolineando come Dante ci mostra che l’uomo del Medioevo, periodo visto nell’immaginario collettivo come un’epoca buia e in cui imperavano ignoranza e superstizione, fosse molto più illuminato di quanto siamo abituati a pensare.
Dante, il moto circolare e la relatività galileiana
Nel canto XVII, quando descrive la sua discesa nel vuoto verso le Malebolge in groppa al mostro demoniaco Gerione, Dante descrive il suo volo, dando l’impressione di conoscere già i principi della relatività galileiana.
Il moto di Gerione è una discesa spirale, lento e con larghi giri, su ordine di Virgilio, il che rende la rotazione quasi impercettibile a Dante.
Gerïon, moviti omai:
le rote larghe, e lo scender sia poco;
pensa la nova soma che tu hai!
Ricordiamo infatti che nel moto circolare o nella componente orizzontale del moto a spirale l’accelerazione centripeta è direttamente proporzionale al quadrato della velocità e inversamente proporzionale al raggio della spirale, il che fa sì che per una velocità molto bassa e un raggio molto grande, come ordinato da Virgilio, tale accelerazione sia quasi impercettibile.

Inoltre Dante, che si muove a spirale, quindi con traiettoria elicoidale, ma si trova al buio, riesce comunque a rendersi conto di starsi sta muovendo, perché sente il movimento in direzione opposta dell’aria. Per un osservatore solidale con il contorno del burrone, l’aria è ferma, mentre invece, per un osservatore solidale con il poeta, è Gerione a essere fermo, e di conseguenza è l’aria che si muove verso di esso; la velocità dell’aria è scomposta da Dante nella sua componente orizzontale (“al viso”) e verticale (“di sotto”), l’una dovuta al contributo del moto circolare uniforme in un piano orizzontale, l’altra all’effetto del moto rettilineo uniforme verso il basso, entrambe componenti del modo elicoidale.
Ella sen va notando lenta lenta;
rota e discende, ma non me n’accorgo
se non che al viso e di sotto mi venta.
Qui si trovano maggiori dettagli sulle intuizioni fisiche di Dante e qui si trova un altro punto di vista sul volo di Gerione.
Dante e l’etologia
Nei versi di Dante si trovano chiari riferimenti all’organizzazione degli esseri viventi, con particolare riferimento al loro comportamento (etologia), utilizzata come sorgente primaria di metafore con implicazioni prettamente etiche.
Questo è il mio suggerimento per approfondire:
Dante e la geografia
Nella Divina Commedia compaiono molti riferimenti e molte similitudini afferenti agli elementi paesaggistici che Dante conosceva direttamente o indirettamente: ad esempio quando cita gli affluenti del Po (seguaci sui) nel canto V dell’Inferno:
Siede la terra dove nata fui
sulla marina dove ’l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui
Nel Canto XXXII il poeta nel descrivere il fondo dell’Inferno, occupato dal lago ghiacciaio di Cogito, si riferisce al Danubio e al Don e menziona i cieli di Russia: il ghiaccio del lago era talmente spesso e duro che non avrebbe ceduto neanche se un intera montagna vi fosse caduta dentro:
Non fece al corso suo sì grosso velo
di verno la Danoia in Osterlicchi,
né Tanaï là sotto ’l freddo cielo,
com’era quivi; che se Tambernicchi
vi fosse sù caduto, o Pietrapana,
non avria pur da l’orlo fatto cricchi.
Nel Canto VII, nel descrivere gli avari e i prodighi, condannati a correre da direzioni opposte e urtarsi, Dante usa il fenomeno naturale causato dall’urto delle onde del mar Ionio contro quelle del Tirreno nello stretto di Messina, descritto anche nell’Eneide di Virgilio:
Come fa l’onda là sovra Cariddi,
che si frange con quella in cui s’intoppa,
così convien che qui la gente riddi;
Per una ricostruzione più completa dell’universo scientifico in generale di Dante Alighieri:
Nota del 31 dicembre 2021
A settembre 1321 moriva Dante e il 2021, anno in cui ricorrono 700 anni dalla sua morte, volge ormai al termine.
Molto è stato detto e fatto per celebrare il nostro sommo poeta e vorrei concludere questo anno per alcuni versi molto difficile arricchendolo questo articolo su Dante e la scienza con il contributo dello spettacolo del fisico e divulgatore scientifico Valerio Rossi Albertini, a cui ho assistito il 27 settembre presso il teatro della mia città, Spoleto.
Qualche interpretazione potrebbe risultare un po’ audace, ma d’altronde stiamo parlando di un genio universale, dotato sia di rigore che di inventiva e di poesia, quindi un po’ di fantasia non è di certo un peccato capitale, lo conferma pure Dante 😉

[…] di Dante, che oltre a essere un letterato fu anche un uomo di scienza, si dice che amasse molto i gatti e che amasse scrivere con un gatto nero sulle […]
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[…] di Dante, che oltre a essere un letterato fu anche un uomo di scienza, si dice che amasse molto i gatti e che amasse scrivere con un gatto nero sulle […]
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